Conosci la Strage di Šumarice (Kragujevac)?

Desanka Maksimović
“Avvenne in un paese di contadini
nella Balcania montuosa:
una compagnia di alunni
in un giorno solo morì
di morte gloriosa”.
(Desanka Maksimović, Fiaba cruenta)


Non tutte le fiabe sono belle, soprattutto quelle inventate di sana pianta. Anzi, alcune sono sanguinose. Una di queste è la Fiaba cruenta: Крвава бајка (Krvava bajka); questo è il titolo di una delle più conosciute poesie serbe, scritte dalla nostra più grande poetessa, Десанка Максимовић (Desanka Maksimović), in onore agli alunni martiri della città di Kragujevac, fucilati dai nazisti il 21 ottobre del 1941.
Le due guerre mondiali erano finite grazie, in gran parte, al popolo serbo, anche se pochi lo sanno. La Prima guerra mondiale era scoppiata dopo la dichiarazione di guerra del grande Impero austro-ungarico al Regno di Serbia. Più o meno, le stesse posizioni furono mantenute anche nella Seconda. E più o meno così è in questa terza guerra mondiale, che dura da un bel po’ di tempo. Sia nella Prima che nella Seconda che nella terza, noi perdemmo molte vite. E tante furono spente proprio in due giorni di quell’ottobre del 1941, quando i nazisti eseguirono una delle loro più atroci rappresaglie e fucilarono settemila e trecento persone, tra cui circa trecento alunni.
Due giorni di massacro. Perché? Perché nei giorni precedenti a questa tragedia c’erano stati dei violenti scontri tra i tedeschi e i nostri partigiani. In quei frangenti erano morti dieci soldati tedeschi e ventiquattro furono feriti. Le regole imponevano che, per ogni tedesco ferito, bisognava fucilare cinquanta vittime. Per ogni soldato tedesco morto, perdevano la vita cento persone. Che equazione! Ma pare che i nazisti non fecero bene i conti e furono fucilate, dunque, più di settemila persone: tutti
maschi, tranne una sola donna. Sembrava che il numero di vittime non bastasse e quindi furono chiamati al martirio anche tutti gli alunni e i professori dei ginnasi della città di Kragujevac. Vennero letteralmente presi dai loro banchi durante lo svolgimento delle lezioni. Mentre studiavano la matematica, la sintassi della lingua serbocroata, la fisica e la poesia di Goethe (oh, Goethe, eri veramente tedesco?) e ascoltavano i discorsi sulla libertà e sugli sforzi secolari per l’indipendenza, tenuti sia dai professori serbi che da quelli croati scappati dal regime fascista croato, dagli ustascia, i tedeschi fecero l’appello. I professori cercavano di salvare i loro alunni, mentivano. Dicevano che i ragazzi non avevano ancora sedici anni compiuti, dicevano che stavano facendo proprio lezioni di lingua tedesca: ma questo non li aiutò. Gli ufficiali tedeschi non ascoltavano nemmeno, pensavano già alla fucilazione.
Per i nazisti la fucilazione era un rito. Ne andavano orgogliosi: puntuali, puliti, proprio da tedeschi. E, giustamente, gli stivali dovevano essere lucidi. E, giustamente, mica se li pulivano da soli. Quando i tedeschi dovevano sparare, i piccoli rom della città erano tenuti a pulire gli stivali. Erano i loro lustrascarpe. I piccoli rom, però, si rifiutarono di inginocchiarsi per pulire gli stivali dei fucilatori. Ovviamente, anche loro finirono tra le vittime.
Dopo la fucilazione, settemila e trecento corpi furono gettati nelle fosse comuni, sparse su trecentottanta ettari di terreno. Lì, oggi, in quel posto che si chiama Шумарице (Šumarice), si trova un grande Parco delle Rimembranze. Tra tanti monumenti presenti nel parco, quello più famoso è ricordato come “Ali spezzate”, eretto in onore e ricordo degli studenti dei ginnasi.


Tutti noi nel mio Paese conosciamo la storia di Šumarice, così come i versi di Desanka Maksimović, ma, soprattutto, tutti noi ricordiamo le parole che si attribuiscono al direttore del Ginnasio, pronunciate nel momento in cui stava per essere fucilato insieme ai suoi studenti: «Sparate, io anche adesso sto facendo la mia lezione». Oggi si fanno delle polemiche su questa frase. Alcuni la ritengono vera, altri falsa. Come sempre, si litiga per le cose insignificanti. Quello che invece è significante e che deve essere ricordato è proprio il senso della frase, a prescindere dal suo collocamento storico. Con tutto ciò che facciamo, noi insegniamo a chi ci considera modello di riferimento. E noi, con le nostre magliette target, facevamo quasi la stessa cosa.
Quell’unica donna fucilata aveva solo diciannove anni ed era studentessa di medicina. Si chiamava Нада Наумовић (Nada Naumović). Nada in serbo significa “speranza”. Oggi, con il suo nome sono chiamate le scuole materne della città di Kragujevac.
L’aggressore, invece, voleva ucciderle tutte, le nostre speranze. Il 17 maggio del 1999 bombardò Šumarice. I fucilati dovevano essere uccisi di nuovo. E le ali si spezzarono ancora una volta.

Tratto dal romanzo IN SERBO (Les Flâneurs Edizioni)

Pubblicato da Milica Marinković

Zdravo! Mi chiamo Milica Marinković, sono nata e cresciuta in Serbia. Molto presto ho incominciato a esplorare culture nuove attraverso le loro lingue. Dapprima quella inglese, poi quella francese e finalmente quella italiana. Dulcis in fundo, direi, perché quest’ultima scelta ha avuto il maggior impatto sulla mia vita. Infatti, dopo aver conseguito la Laurea e il Master in Lingue e letterature romanze all’Università di Belgrado, mi sono trasferita in Italia, dove ho iniziato i miei studi di dottorato di ricerca. In Serbia ho avuto la fortuna di essere stata borsista statale e comunale per tutta la durata dei miei studi, in Italia ho ottenuto la Borsa di studio del Governo italiano, ma il 2014 mi ha vista vincitrice della prestigiosa borsa di studio canadese Bourse Gaston-Miron, offertami dall’Associazione Internazionale degli Studi Quebecchesi (AIEQ). Dopo essermi perfezionata in Canada come ricercatrice in Letteratura francofona, ho conseguito il titolo di Dottore di ricerca presso l’Università degli Studi di Bari, anche se i miei studi e le mie ricerche non sono tutt’ora terminati. Infatti, mi ritengo un’eterna studentessa e ricercatrice e ciò si riflette sulle mie esperienze lavorative che richiedono continui approfondimenti ed evoluzioni. I miei ambiti professionali sono insegnamento, traduzione e scrittura. Subito dopo il diploma liceale ho iniziato a insegnare il francese ai più piccoli e allora ho capito che non avrei mai smesso di trasmettere le mie competenze agli altri. Ad oggi ho accumulato diverse esperienze come insegnante di francese, italiano e serbo, sia nella pubblica istruzione, nell’ambito universitario, aziendale e privato. Come traduttrice, oltre alla traduzione dei documenti, posso ritenermi orgogliosa di aver dato la voce italiana a uno dei maggiori scrittori della letteratura serba, Jovan Dučić, traducendo, insieme alla collega Valeria Uva, il suo capolavoro Città e chimere (Bari, Stilo Editrice 2015), così come a Vladan Matijević, uno dei più importanti scrittori contemporanei, traducendo il suo romanzo Lezioni di gioia (Lugo, WhiteFly Press 2015). Coltivo la mia passione per la scrittura in lingua italiana sia come autrice di romanzi (al mio attivo ci sono Piacere, Amelia, pubblicato nel 2016 dalla casa editrice barese Les Flâneurs Edizioni e In serbo, uscito nel 2019 sempre per i tipi de Les Flâneurs) e di diversi racconti, pubblicati su riviste e raccolte, come curatrice di varie antologie poetiche, come redattrice della rivista “incroci” (Bari, Adda Editore). E, naturalmente, come blogger di questo sito.

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